Studio per il Te Deum "Theatino"

Esercizio sinfonico (2002)
Commissione di : Cappella Musicale Theatina / Festa del Te Deum
organo solo. (ca. 13’)
seconda versione (2004) : organo e orchestra.
terza versione (2006) : 12 voci, tr, 2 trbn, perc, organo, cannone.

cfr. Te Deum (2008)
per soli, cori e orchestra. (50’)
Il Verbum Divino che si fa canto: nel mondo della musica sacra
attraverso la musica dei grandi maestri del passato e del presente

Giovanni Acciai, 2004

Alcune fra le composizioni raccolte nel programma di questo concerto, oltre a rappresentare un’occasione di ascolto preziosa per la loro rarità (il Ripieno in pastorale, il Quaerite primum regnum Dei di Wolfgang Amadeus Mozart, il Te Deum di Nicola Porpora, lo Studio per il Te Deum Teatino di Flavio Colusso e sono in prima esecuzione moderna), offrono non pochi motivi di approfondimento intorno a uno dei periodi piú complessi della nostra storia musicale e, purtroppo, ancor oggi cosí poco conosciuto, almeno su questo versante: il periodo barocco.
È, infatti, cosa risaputa che l’elaborazione di categorie storiografiche volte ad interpretare globalmente gli atteggiamenti di un’epoca in trasformazione non sempre è operazione critica di agevole attuazione. Piú che altro si tratta di fissare una convenzione metodologica che per comodità di esposizione favorisca l’analisi storiografica senza pretendere di ottenere risultati totalizzanti.

Il periodo storico entro il quale si collocano le musiche in programma copre un arco di tempo compreso  fra la prima metà del secolo XVII e la seconda metà del successivo.
È questa un’epoca che sotto il profilo musicale conduce al superamento dell’estetica rinascimentale e all’affermazione di quella barocca. È un’epoca in cui la musica penetra nel profondo della sua essenza e la trasforma e in cui le leggi della costruzione musicale si fanno salde e definite, derivate l’una dall’altra senza che vi si intromettano altri elementi oltre quelli dell’oggetto da costruire cioè dell’immagine sonora perseguita. È un’epoca in cui l’influenza delle arti visive si fa molto forte; lo diventa comunque su chi, come noi, è abituato a ragionare in termini di tempo e di spazio, inevitabili forme della vita corporea e insieme dell’intelletto. Nel delirio degli spazi e delle linee di una costruzione barocca, si riconquistano i caratteri strutturali delle forme e la coerenza dei rilievi plastici della musica barocca. Forse nulla di piú simile alla logica dell’architettura barocca può essere adatto a rendere l’idea dei brani che si ascolteranno nel corso di questa serata. Brani che si collocano nel grande alveo della musica religiosa settecentesca, straripante di capolavori di indiscusso valore artistico che a tutt’oggi attendono di essere riproposti all’attenzione del pubblico attraverso un paziente quanto rigoroso lavoro di scelta e di revisione critica.

Non si può negare che ogni epoca storica mantenga nei confronti di alcuni  musicisti del passato atteggiamenti discriminanti, avvalorati talvolta da giudizi superficiali e sbrigativi. Mentre molti compositori dei secoli scorsi sono stati, in tempi recenti, riscoperti e rivalutati, altri, pur importanti all’epoca in cui vissero, sono rimasti confinati in angoli oscuri della storia e, dunque, quasi del tutto ignorati. Le ragioni di questo oblio sono molteplici e abbastanza chiare: sicuramente vanno collegate con l’esistenza di un’affinità stilistica ed estetica di un’epoca con la Weltanschauung di un personaggio del passato o, meglio ancora, col desiderio di ritrovare nelle opere certi valori andati dispersi. A ben vedere, questo modo di procedere trova molti punti di contatto con la prassi seguita in altri campi per delimitare epoche storiche o definire categorie estetiche: come ben si sa, per questa via si finisce sempre per operare scelte ed esprimere giudizi di per sé discriminanti, dunque pericolosamente restrittivi. […]

Confesso di non conoscere per intero la produzione artistica di Flavio Colusso ma, se un’opinione posso esprimere su di essa, limitando la mia indagine al solo Studio per il Te Deum Teatino, è questo: un senso di chiarezza e di sintesi unito a una straordinaria capacità di sfruttamento dei mezzi musicali impiegati e un’assoluta libertà di immaginazione.
Figlio di un’epoca divisa tra pericolose fughe in avanti di un’avanguardia talvolta vuota di idee e di contenuti e tra gli altrettanto perigliosi balzi all’indietro di una retroguardia conservatrice e nostalgica, Colusso dimostra di voler opporre a questo sterile bipolarismo un atteggiamento positivo, riuscendo sempre a far convivere nella sua arte creativa, vivacità di pensiero e grande coerenza stilistica.
La sua musica, non v’è dubbio, è musica d’oggi, ma si avverte in essa un legame solido con il retaggio del passato. Vi si coglie con evidenza il senso di una modernità che non si alimenta alla pura enunciazione di sé stessa ma si nutre della rielaborazione personale di canoni compositivi indagati fin nelle pieghe più profonde della loro essenza. Ciò vale sia per la sperimentazione e l’applicazione delle formule compositive sia per l’esplorazione delle possibilità tecnico-espressive dello strumento «voce». Questa innata vocazione al canto, questa predilezione per la voce che si sposa con la parola e, nel nostro caso, con la parola devozionale, è condotta sul filo di una riflessione strutturale e musicale che, nella sua eterogenea ricchezza, si lascia ricondurre sempre all’alveo di un’esperienza che trae la sua linfa ispirativa dai modelli dell’antica melopea gregoriana e della polifonia rinascimentale.

Nello Studio per il Te Deum Teatino per grande orchestra (flauti, oboi, fagotti, trombe, tromboni, campane, timpani, gran cassa, arpa, archi e organo) si evidenzia la forza di un contrappunto rappresentato più con le sembianze del ricamo prezioso che con le fattezze dell’architettura massiccia e di una situazione melodica che si incontrano in una definizione formale e soprattutto espressiva, in cui il magistero degli antichi maestri è una presenza di cultura profondamente acquisita ed operante in una proiezione attuale e non un ricordo compiaciuto o una citazione erudita da nota a piè di pagina.
Queste considerazioni non devono però essere fraintese. Non devono in alcun modo far pensare alla musica di Flavio Colusso come a un sofisticato esercizio intellettuale. Al contrario, imbrigliati e trasfigurati nell’elaborazione formale, sono il temperamento vigoroso e la vitalità intellettuale di un uomo che vive intensamente l’arte, e quella al servizio della parola di Dio in modo particolare, come esigenza primaria dell’essere e non come sua narcisistica ostentazione.

La parola, dunque, il verbum divino che si fa canto, è l’elemento propulsivo della fantasia creativa di Colusso, il pungolo che stimola di continuo la sua fervida invenzione. Siano le diafane sonorità di protopolifonie medievali echeggianti in apertura di brano su frammenti motivici dell’inno gregoriano, seguenti i massicci accordi dell’organo nell’exordium introduttivo, oppure i successivi e piú complessi agglomerati sonori conseguenti l’elaborazione tematica del cantus firmus preso a prestito, il risultato estetico che se ne trae è sempre una musica che si fissa e si libra in uno spazio che spinge in avanti, ma che costringe anche a volgersi indietro, a interrogare il passato, inteso non come reliquia della memoria ma come fonte ispirativa per la realtà musicale del presente.

Una musica, quella di Colusso, difficile da classificare e da contestualizzare in una precisa categoria stilistica, proprio perché collocata in un favoloso, mitico tempo, né passato né futuro, sospesa in una dimensione di straordinaria ampiezza lirica ed emotiva, che poi, a ben vedere, non è altro che la testimonianza di un cifra stilistica personale, libera da qualsivoglia demarcazione di tempo e di spazio.