Amarilli, il Primo Libro dei Madrigali illustrati

Dodici madrigali su Testi di F. Colusso, B. Guarini, T. Tasso, Virgilio (1999 – 2006)
Commissione di : Ensemble Seicentonovecento
S, S, S, tre voci in eco, zufolo in eco, pf. (ciclo completo, ca. 45’)

Il ciclo dei dodici “Madrigali illustrati” Amarilli di Flavio Colusso è basato su pochi, suggestivi frammenti poetici (Virgilio, Tasso, Guarini) : questi brevi componimenti per voci, “zufolo” e pianoforte vedono la «bisbetica» protagonista anche come un’allegoria della città eterna, in cui gli schiavi non sono più sottoposti a un padrone, ma sono schiavi d’Amore, «la bella Amarilli, selvatica, mezza donna, mezzo animale, canta, balla, innamora i pastori».
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«All’inizio era la Favola; e vi sarà sempre»
immagine, poesia e canto di Amarilli nel mio Primo Libro di Madrigali
Flavio Colusso

Nel 1979, durante il periodo dei miei studi e delle mie avventurose ricerche musicali in giro per il mondo, ancora era assai vivo l’esercizio parallelo del disegno; oltre a lavori più impegnativi e agli schizzi sui miei Diari, esistono di quegli anni alcuni taccuini colmi di suggestioni e percezioni còlte nel quotidiano, intere tematiche e piccole tracce di saghe personali – molte volte inconsapevoli – sviluppate attraverso tratti accennati, più o meno rarefatti: in quell’anno si materializzò sulle pagine di uno di questi quaderni, la mia prima Amarilli. Non mi è possibile stabilire con esattezza la sua data di nascita, ma posso dire che insieme a lei nasceva dentro di me tutto un mondo che ancor oggi mi capita di frequentare; un «Paesaggio ideale» che, sul riverbero dalla memoria dell’antico Locus amoenus, era ed è tuttora per me un modo di presentare, trasfigurare e idealizzare la natura,  «statica e sempre bella» e l’immagine che di essa si creava il mio spirito.
Di questa rozza ninfa semi-velata e dalle labbra procaci, gli occhi grandi e svuotati, il collo cinto di perle, i piedi semi-caprini, le ascelle, le mammelle e il sesso generosamente e pudicamente mostrati, potevo fin sentire risuonare la voce che parlava-cantava-gridava con le sue compagne, con le selve e le fere, con gli dèi, con me (… ma non è facile spiegare ciò che si sperimenta e non si comprende appieno); il regno del favoloso mi cominciò a sembrare molto più vicino di quanto io non credessi.

Fu così che cominciai a percepire quegli «ascosi tesori dell’amaro vegliar» indicati nell’intonazione del madrigale di Achille Falcone Il Tesoro nascosto, di cui intanto avevo rintracciato a Bologna l’edizione a stampa del 1603.
Il sommo Virgilio, oltre ad essere fra i primi a nominare la bella e «bisbetica» Amarilli – selvatica, mezza donna, mezzo animale – che canta, balla e innamora i pastori (sembra quasi di ascoltare un vecchio racconto sulle «danze delle fate» dei pastori-zampognari abruzzesi e immergersi nello stesso «immaginario fantastico» e notturno e nella medesima «armonia panica»), è forse l’autore latino che più ha contribuito a creare i caratteri fissi del paesaggio ideale. «Accanto al tema della natura serena si forma inevitabilmente quello dei pastori abbandonati ad essa e anch’essi felici, senza preoccupazioni di carattere cittadino e quindi per lo più idealizzati». (R. Mugellesi, 1975)
Questo mio ciclo grafico ha avuto più fortuna di altri e si è sviluppato propagandosi in differenti rami che riaffioravano di quando in quando, almeno fino al 1984. Poi iniziai a frequentare Villa Lante al Gianicolo; ricordo che una delle poche persone a cui mostrai i disegni delle Amarilli fu la cara amica e grande artista finlandese Eila Hiltunen, la quale nel 1985 mi consigliò affettuosamente di «camminare sulla mia strada senza ascoltare troppe opinioni e “guide”»: così feci. Dopo un lungo periodo di gestazione, durante il quale le mie Amarilli rimaste chiuse nei taccuini vagolavano nei loro scenari assolati e mi dettavano-distillavano in musica i segni che in passato comunicavano attraverso le immagini, nel luglio del 1999 nacquero le mie prime pagine musicali ispirate da queste figure: immagine, poesia e canto si sublimavano nella insistente idea di un Primo libro dei “Madrigali illustrati”. In quei giorni appuntavo sul Diario: «Qualche giorno fa è nata la bella pagina […]: ciclo che sarà mai compiuto? Dio sa quanto mi piacerebbe completarlo e fissarne la poetica. È ora – e sempre – una questione di tempo e di commissione. […] Al momento ho più disegni che poesie e musiche».

Cinque di questi brani  sono stati poi completati ed eseguiti a Villa Lante nel 2003; mentre attendevo a questi brevi componimenti annotavo «[…] ed ora è prorompente il ruscello delle fate, che dai boschi montani arrivano ad irrorare il cuore di nuovi ardori Antichi; verso l’appuntamento di Giano, con le mie belle Amarilli. E insieme non potevano che riascoltarsi “in echo” alcuni poetici componimenti del ciclo di Luzzascho». Nel percorso di scrittura, la “complicità” del luogo committente aveva ormai acquisito un ruolo attivo «dando luogo a curiose contaminazioni del tutto libere da complessi di inferiorità nei riguardi dell’antico», la Villa trovava nei nuovi Dialoghi della Antica & Moderna Musica dei nostri concerti de L’Orecchio di Giano l’occasione per attuare «l’ideale antiquario proprio […] dell’atteggiamento rinascimentale verso le fonti classiche, vuoi letterarie, vuoi archeologiche». (P. Marconi, 1974)
Il personale Locus amoenus intuito-ricercato nei giovanili disegni trovava realizzate sul colle Gianicolo – già sede “ideale” e storica dell’Arcadia letteraria voluta dalla regina Christina di Svezia – e in particolare nella Villa Lante, capolavoro architettonico di Giulio Romano, «le due tradizioni, l’italica e l’ellenistica, che si erano già incontrate e fuse per dar luogo alla definizione della domus […]» e che qui si incontravano ancora in una nuova Arcadia “bi-fronte” per definire «un tipo di abitazione lussuosa che, introdotta a Roma, prese il nome di Horti in omaggio alle antiche tradizioni agresti». (T. Carunchio, 1974)
Dopo questa prima esecuzione, il Diario registrava che «il Concerto è passato abbastanza bene sia nella parte antica che in quella moderna. Le mie Amarilli hanno incontrato assai favorevolmente. Sono poca cosa, dal punto di vista strettamente “quantitativo”, di sforzo realizzativo. Ma la lirica atmosfera e l’esito sono quelli che mi aspettavo da almeno dieci anni… ».
La protagonista del celebre Pastor fido di Giovan Battista Guarini era nuovamente guardata e ascoltata – «senza prendere in prestito gli occhi di nessuno» – anche come un’allegoria della città eterna, in cui gli schiavi non sono più sottoposti a un padrone, ma sono schiavi d’Amore: la poesia e il linguaggio non avevano acquisito un eccessivo ruolo del segno materiale della scrittura; ed ecco, con la separazione – necessaria – fra Altare ed esercizio, non difettavano di armonia “semplice”, di ri-sonanza. Rileggendo e riscrivendo, oltre la pagina “data”, il riverbero delle pagine piene di “scrivi-scrivi-scrivi”, riviveva anche la mia favola: interregno tra due fasi, su cui “regna” un punto coronato musicale; una porta, stretta; un confine inconsistente in cui aleggia la memoria del dio Giano.

Basati su alcuni suggestivi frammenti poetici di Virgilio, Tasso e Guarini, questi primi cinque madrigali sono segnati per un organico variabile di voci, “zufolo in echo” e pianoforte (o arpa): l’essenzialità della scrittura e della grafia impiegata in questi brani testimonia l’esercizio e il coraggio di “semplificare” quel tanto da non aver bisogno di anteporre nessuna indicazione né scrivere complesse spiegazioni tecniche e Legende di esecuzione: «Niente di più. Ma niente di meno», come altrove chiedeva P. Valéry.
Poche parole, linee essenziali, crudi bicinia, sospesi accordi e liquidi arpeggi dello strumento, bastavano a rendere i toni sfumati dei sogni, in cui affetti contrastanti si trasformano giustapponendosi con un procedimento “henarmonico”; Novalis sintetizza efficacemente questa condizione annotando: «Una fiaba è proprio come un’immagine di sogno – senza nesso – Un ensemble di cose ed eventi meravigliosi – per esempio una fantasia musicale – le sequenze armoniche di un’arpa eolia – la natura stessa».

Oggi questi nuovi sette frammenti per lo stesso organico, sono pronti e, insieme ai primi cinque, costituiscono un corpus quantomeno desueto nell’ambito del mio Catalogo: dodici madrigali in un unico “libro”, come la celebre raccolta dell’ammirato ferrarese, come molte “mute” di madrigali cinque-seicenteschi.
Acquisisce per l’Ensemble Seicentonovecento e per me un significato speciale il fatto che il Libro prenda finalmente vita nella sua interezza nella stessa occasione della rinnovata “lettura” del libretto della Favola pastorale L’amorose passioni di Fileno del “mio” maestro Jacomo. Auguri: ecco a voi Fileno & Amarilli. Vivete felici.